La ritrattistica tibetana.

Stampa del British Museum datata 1301 rappresentante Sakyamuni con un monaco tibetano.La ritrattistica era un tema diffuso nell'arte tibetana sebbene si sappia ben poco riguardo le sue funzioni e il suo significato. Sembrerebbe che il fattore predominante nella ritrattistica religiosa fosse quello di presentare il soggetto del dipinto come un esperto buddhista. Il ritratto celebrativo non deve necessariamente richiamare alla memoria la fisionomia della persona ma piuttosto i suoi meriti spirituali. Questi ultimi erano resi attraverso canoni iconografici come la posa, il gesto, l'associazione di certi simboli rituali e mediante altri codici iconografici che rivelano la vita interiore del soggetto. Pur tuttavia non tutti i ritratti erano puramente immaginari; elementi particolari della fisionomia di un individuo, come la forma del viso e i lineamenti, il colore dei capelli, l’attaccatura di questi e i peli del viso, possono avere contribuito a creare alcuni ritratti. Ritratto di due famosi abati di Sakya del XV secolo. Anche in questi casi in ogni modo la rappresentazione sembra essere stata basata su tipi fisionomici stabiliti. In alcuni casi ritratti di prelati religiosi sono difficilmente distinguibili dalle immagini divine: ne abbiamo testimonianza in una illustrazione tratta da una edizione eseguita con stampo di legno del Qi sha Tripitaka cinese datato 1301 ora nella British Library di Londra. 1 - Pubblicato da Zwalf 1985, tav. 306. (vedi foto a fianco) Sulla sinistra vi è seduto un monaco tibetano assistito da due monaci in piedi. Sulla destra c'è Buddha Sakyamuni fiancheggiato da un monaco indiano e da un arhat. È interessante osservare i molti paralleli iconografici tra la rappresentazione, da una parte del sacro fondatore della fede buddhista e dall'altra di un semplice monaco. Il monaco tibetano e Sakyamuni sono rappresentati nel medesimo gesto di insegnamento e sono vestiti in modo simile anche se il monaco tibetano indossa sotto il suo mantello quella caratteristica camiciola tibetana senza maniche (choko), mentre il Buddha è a torso nudo e porta solo la tradizionale veste lunga indiana. Entrambe le figure sono sedute su troni identici, i lati dei quali sono costituiti da un elefante, vyalaka (grifone) makara (coccodrillo mitologico) e kittmuka (viso glorioso) che sono familiari a chiunque conosca l’arte dell'Asia meridionale. Questo trono ha le sue origini in India dove, come ha dimostrato Madame Auboyer, assume significato di unione delle forze naturali e sovrannaturali e l’obbedienza di queste a chiunque vi stia seduto. 2 - Auboyer 1949, pp. 105-168. Nell’arte indiana è riservato per il monarca universale, (cakravartin) e per i Buddha, i bodhisattva e altre divinità. In breve questo non è semplicemente uno scranno ma racchiude in sé un gran significato simbolico. Le figure rappresentate differiscono principalmente in quanto il Buddha, seguendo l’iconografia tradizionale della sua rappresentazione, mostra caratteristiche fisionomiche particolari che in India sono conosciute come laksana o i segni fisici della sua illuminazione completa: i lobi delle orecchie allungati, l’‘urna’ (quel segno tra le sopracciglia) e l’‘usnisa’ (la protuberanza sul cranio). 3 - I trattati indiani sulla iconografia, come per esempio il Mahavastu, descrivono trentadue grandi segni (mahapurusalaksana) dell'essere illuminato insieme ad un’ottantina di segni minori (anuvyanjanalaksana). È largamente dimostrato che gli artisti tibetani nelle loro interpretazioni dei prelati buddhisti, abbiano preso in prestito dei canoni nati in origine invece per la rappresentazione dei Buddha e dei bodhisattva e questo perché essi spesso li percepivano come divinità. Lo storico della cultura tibetana R.A.Stein nota la singolare venerazione che i tibetani nutrono per i loro maestri religiosi e afferma che “ è tipico del (Buddhismo tibetano) [...] che un Lama (guru) sia superiore a tutte le divinità persino le più importanti”. 4 - R.A. Stein 1972, p. 176. La storia di Go Lotsawa (gos lo-tsa-ba, 1392-1481) dell'inizio del XV secolo conosciuta come gli Annali Blu (deb-ther sngon-po') descrive con frequenza prelati religiosi rappresentati come le divinità che si diceva essi reincarnassero. Al venerando Ling (gling, 1128-1188) si attribuisce l'affermazione “ Il mio corpo, la mia parola e la mia mente non sono differenti dal Corpo, Parola e Mente di tutti i Tathagata (Buddha) [...] Chiunque rivolgerà a me preghiere devote, avrà i suoi desideri esauditi”. 5 - Roerich 1949-1953 e 1979, p. 664.

Particolare del ritratto di due famosi abati di Sakya del XV secolo.Uno dei discepoli del prelato Kagyu Drigungpa [...] “ non abbandonò nemmeno per un solo momento la nozione che il Dharmasvamin (Drigungpa) fosse un Buddha”. 6 - Roerich, p. 574. Ci si potrebbe domandare il perché ritratti di prelati (vedi fig. a p.83), fossero eseguiti e per quali scopi. Negli Annali Blu si afferma che i dipinti di ritratti a volte si facevano quando un grande personaggio religioso moriva, venendo poi distribuiti ai monasteri e alle cappelle frequentate da quel prelato. 7 - Roerich, 1949-1953 e 1979, p. 141, e in vari luoghi. Pratiche similari erano osservate in Cina e in Giappone. Hisashi Mori descrive questo fenomeno, particolarmente popolare durante il periodo Kamakura (1185-1332) in Giappone, quando sale separate erano erette per ospitare i ritratti del fondatore del tempio. Quest’usanza si può far risalire, in Giappone, al XVIII secolo con il ritratto del monaco cinese vinaya, di nome Ganjin. Pratiche cinesi che si possono far risalire addirittura al IX e X secolo comportavano delle sale di ritratti per buddhisti e altre figure culturalmente importanti. Tali ritratti possono essere serviti per commemorazioni sia pubbliche sia private. La credenza che questi ritratti trasmettessero una presenza spirituale è suggerita dalla descrizione da parte di Go Lotsawa della presentazione di Taglung Thangpa Chenpo a Phagmodrupa (1110-1170) mostrandogli solo il ritratto di quest'ultimo. Immediatamente dopo Taglung Thangpa Chenpo “ si sentì dentro un desiderio fortissimo di andare ad incontrare il suo maestro”. 8 - Roerich 1949-1953 e 1979, p. 612. Alcuni ritratti fungevano da centro focale di rituali in cui un individuo assorbiva insegnamenti dall'immagine dipinta.9 - Roerich, 1949-1953 e 1979, p. 6l2 e altrove. Viene alla mente la storia di Mahabarata in cui Ekalavya, volendo imparare da Drona a tirare con l'arco ed essendo stato ripudiato dall'impareggiabile maestro, modellò un’immagine in argilla di Drona e idolatrandola acquistò miracolosamente l'abilità tanto desiderata. Questa pratica ha attinenza col fenomeno che in India è conosciuto come darshan, ‘vedere’ la divinità. 10 - Diana L. Eck, Darsa, Seeing the Divine Image in India, Anima Books, Chambersburg, Pa 1985, 2à ed. riveduta. Tradizionalmente si pensa che tutti i dipinti tibetani consacrati siano il riflesso di sfere trascendenti, ‘il sostegno fisico’ (rten) di una divinità. Nelle fasi finali della consacrazione, la divinità è invitata a ‘dimorare’ nell’opera d’arte. Nella sua storia religiosa il secondo Rimpoche di Pawo (dpa’-bo rin-po’-che, 1504 -1566), Tsuklak Trhengwa (gtsug-lag ‘phreng-ba) narra che il famoso maestro di Buddhismo indiano Atisa (982-1054) domandò ai suoi seguaci di dipingere un suo ritratto di dimensioni naturali dopo la sua morte. Egli promise di tornare dal cielo di Tusita per consacrarlo. Promise inoltre di esaudire la richiesta del suo discepolo Ngok (rngog) che, dopo la morte di Atisa, il Lama sarebbe rientrato nella sua immagine ritratta. 11 - bla-ma nyid-sku’ i gzugs-brnyan du ‘byon-pa. Chos- ‘byung mkhas-pa’ I dga’-ston Queste osservazioni indicano che almeno alcuni ritratti di prelati servivano come icone, nonostante che quest’aspetto della ritrattistica debba ancora essere esaminato in modo esauriente. 12 - Per una descrizione delle elaborate cerimonie osservate dall'artista, vedi Lalou 1930; vedi anche Loden Sherap Dagyab 1977, vol. I, pp. 27-28; e Giuseppe Tucci 1949 e 1980, vol. I, pp. 308-316. Un numero rilevante di pitture tibetane primitive ha iscritto i nomi di coloro che le hanno consacrate.

Jane Casey Singer

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La pagina è stata aggiornata nel maggio 2001

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