Storia
dell'Arte
Pittura
- Opere
45.
Ritratto di Manjusri e Maitreya
XII secolo tempera su cotone, 136 x 99cm
(Originariamente 144 x 105 cm)
L'eccezionalità di questa thang-ka è data dal soggetto, dall'alta
epoca e dal grande formato.
Per ottenere una tale dimensione, da far infatti pensare non a un
dipinto trasportabile ma ad uno destinato ad essere appeso alle pareti
di una cappella, sono stati cuciti insieme due pezzi di stoffa
all'altezza delle spalle del Bodhisattva con una cucitura che è ora
ormai praticamente invisibile.
In Tibet le pitture murali venivano più frequentemente dipinte
direttamente sulle pareti ma nel Tibet centrale, e in particolare nel
monastero di Shalu, vi sono esempi di dipinti eseguiti su stoffa e poi
appesi alle pareti. Anche esteticamente questi dipinti rievocano le
pitture murali di Shalu. Possiamo qui vedere sul lato sinistro Manjusri,
il Bodhisattva della saggezza, e, sulla destra Maitreya, il Bodhisattva
dell'amore e il Buddha del futuro, riconoscibile dal piccolo stupa
bianco al centro dello chignon sul capo. L'emblema di Manjusri è il
libro, il rettangolo rosso alla destra del suo viso. Il registro
superiore del dipinto è ora parzialmente illeggibile ma in origine vi
era una serie di Bodhisattva seduti in diversi colori. Alla sinistra di
Maitreya troviamo, inginocchiata al suo fianco, una divinità guardiana
simile ad un nano, di colore blu, con un'aureola rossa fiammeggiante,
probabilmente una rappresentazione di Vajrapani.
Al centro, lo stupa bianco con i vessilli rossi sospesi al bocciolo di
loto terminale, è collocato su un piedistallo votivo. Al di sotto dello
stupa più grande vi sono i profili di tre stupa più piccoli e di
libri. Nella parte inferiore del piedistallo si trovano due
scacciamosche che emergono da un vaso con fogliame di fiori di loto. Il
vaso sta a simboleggiare il mondo ed il grembo materno le cui acque
introducono il novizio alla vita dell'iniziato. Lo stelo di loto che
emerge dal vaso è permeato dalla perfetta purezza della saggezza del
Buddha, ed è per questo che su di esso si poggiano un incensiere ed uno
scacciamosche che vengono fatti oscillare come parte del rituale di
consacrazione del Buddha come Sovrano Universale. (1)
Lo stupa al di sopra del vaso simboleggia il corpo di Buddha. Come
scrisse il Prof. Tucci "lo stupa è una rappresentazione
architettonica del Dharma". (2)
La composizione qui rappresentata si ritrova per la prima volta in una
pittura murale del monastero di Grathang, nel Tibet centrale, consacrato
nel 1093.
In quella pittura, al di sotto di Sakyamuni, i due Bodhisattva sono
seduti nella stessa caratteristica posizione ai fianchi dello stupa con
scacciamosche che fuoriescono da un vaso.
L'iconografia sembra derivare da antichi testi Buddhisti che ispirarono,
più tardi, le visioni di Atisa, studioso Buddhista del monastero di
Vikramasila, il quale insegnò e fece traduzioni nel Tibet centrale dal
1045 fino alla sua morte, avvenuta nel 1054. (3)
Scritta da uno dei suoi discepoli, la biografia di Atisa racconta di una
visione che il maestro ebbe in Tibet durante la quale egli vide nel
cielo Manjusri e Maitreya che dissertavano sul Dharma protetti da
Vajrapani. Atisa chiese che la sua visione fosse tradotta in una
pittura. Secondo la biografia fu Vikramsila a convocare i pittori. (4)
L'estetica dell'India orientale che era tenuta in gran conto da Atisa,
si può qui notare nel profilo a tre quarti del viso, nei molti giri di
perle, nella corona a più piani di Manjusri e nello chignon (jata-makuta)
di Maitreya, entrambi ornati di nastri e nel loro costume composto da
dei dhoti rigati. Queste caratteristiche sono comuni ai Bodhisattva
dell'XI secolo dei monasteri di Grathang e di Shalu. I piedistalli di
fiori di loto sono sorretti da due divinità "gana" le quali
sembrano giocare fra un'antilope o camoscio e un elefante fra le viti
che emergono dal vaso. Sulla destra due kinnara stanno sull'attenti.
Danzatrici ed un'orchestra femminile eseguono uno spettacolo dinanzi a
figure umane, alcune delle quali indossano corone.
La seconda figura da sinistra è molto curiosa, essa è avvolta in una
ghirlanda di nastri colorati, mentre la quinta figura non è incoronata
ma ha la barba con i capelli raccolti in uno chignon. La figura più
piccola alla sua sinistra può essere stata di un donatore tibetano, ma
vi è troppa mancanza di colore per esserne certi.
La rappresentazione di fitti rampicanti con figure di animali e umanoidi
sono conosciute fin dagli affreschi di Ajanta del V-VII secolo, e in
Tibet sono documentati come allestimento per un gruppo di affreschi nel
monastero di Shalu probabilmente verso metà dell'XI secolo.
Considerando che la composizione di questo dipinto di Manjusri e
Maitreya presenta grandi affinità con gli affreschi di Grathang del
1090 circa, e che il motivo della foresta abitata da animali e divinità
ha dei riferimenti a Shalu, si può ipotizzare che la sua fattura sia
posteriore ai murali di Grathang e di Shalu. In accordo con recenti
studi, questo dipinto potrebbe essere datato fra il 1100 ed il 1200
circa.
(1) Per il Vaso Consacrato vedi: G. Tucci, Tibetan Painted Scrolls,
1949, 299; A. Macdonald, Le Mandala du Manjusrimulakalpa, 1962, pp.
66,130; D. Snellgrove, Indo-Tibetan Buddhism, 1987, pp. 223-228
(2) G.Tucci, op cit.,p.299
(3) A. Macdonald, op cit., p. 107, testo tradotto in Tibetano nel IX
secolo.
(4)Sulla Visione di Atisa: J.C. Singer, Painting in Central Tibet, ca.
950-1400, 1994 p. 108, n. 60; M. Henss, The eleventh century murals of
Drathang Gonpa, 1997, p. 167; Per il testo Tibetano completo e per il
riassunto Tedesco: H. Eimer, rNam thar rgyas pa, 1979, sezione 389.
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