Storia
dell'Arte
Pittura
- Opere
33.
Guru Senghe Dradròk
XIX secolo
tempera su cotone preparato, 57 x 37 cm
In questo dipinto Guru Rinpoce (vedi cat. n. 32) è rappresentato nel
suo aspetto terrifico noto come Senghe Dradròk (colui che insegna con
'Ruggito di Leone'), una delle otto manifestazioni di Padmasàmbhava.
Vestito di una pelle di tigre, Senghe Dradròk porta una corona di
teschi e indossa una collana di teste recise di fresco, mentre schiaccia
i nemici della dottrina buddhista. In alto al centro siede Prabasthi,
uno dei maestri di Padmasàmbhava, mentre altri Grandi Realizzati
appartenenti alla tradizione Gningmapà sono ritratti intorno Senghe
Dradròk nell'atto di penetrare montagne rocciose attraversandole come
se fossero nebbia o di nuotare indenni sulle acque dello spaventoso
oceano dell'esistenza fenomenica. Il personaggio mediano a destra,
rappresentato nell'atto di cibarsi di una pietra da lui trasformata in
oro, è Ma Rincenciòk, celebre erudito e traduttore tibetano vissuto
nella seconda metà dell'VIII secolo. Lo schema iconografico di questo
dipinto segue nei minimi particolari quello di una silografia pubblicata
da Blanche Christine Olschak e Geshé Thupten Wangyal, in Mystic Art of
Ancient Tibet (London 1973, p. 31) e quello di un dipinto pubblicato da
Tarthang Tulku (The Life and Liberation of Padmasambhava, Berkeley 1978,
p. 439, tav. 31).
Sia Senghe Dradròk sia Pèlkyi Senghe, il maestro rivolto verso una
moltitudine di personaggi adoranti in basso a destra, stringono nella
mano destra il vajra strumento rituale di fondamentale importanza nelle
scuole del tardo Buddhismo esoterico indiano, che ne mutuarono il loro
stesso nome: Vajrayana ('Veicolo del Vajra', distinto dal 'Piccolo' e
dal 'Grande Veicolo'). Il vajra e in origine lo scettro di folgori di
Indra, tipico dio indoeuropeo delle tempeste e sovrano degli dèi
induisti, parente stretto dello Zeus greco e del Giove latino; il
termine sanscrito vajra fu tradotto in tibetano con l'epiteto 'dorgé',
che significa 'Signore delle pietre' con riferimento al diamante, a
indicare la purezza, indistruttibilità e potenza delle dottrine
buddhiste che esso finì col simboleggiare.
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