Storia
dell'Arte
Pittura
- Opere
29.
Pehàr
XIX secolo
tempera su cotone preparato, 49 x 36 cm
Pehàr appartiene ad un importante gruppo di cinque protettori della
dottrina ed è una delle rare divinità centro-asiatiche che furono
assorbite nel pantheon buddhista tibetano; è qui raffigurato a cavallo,
armato in maniera tipicamente centro-asiatica, con una cotta di maglia,
una faretra colma di frecce, un arco e un elmo sormontato da uno
stendardo di vittoria, mentre regge un vessillo nella mano destra e
stringe un lasso nella sinistra. Sotto questa particolare forma Pehàr
viene descritto con il titolo di Karmaràgia (sanscrito Karmaraja,
tibetano ' Phrin-las-rgyal-po'; cfr. René de Nebesky-Wojkowitz, Oracles
and Demons of Tibet, Graz 1975, pp. 111, 114, 130, e Lokesh Chandra,
Buddhist Iconography, New Delhi 1991, p. 201, fig. 505).
Un'altra caratteristica di Pehàr è quella di non essere ancora uscito
dal mondo fenomenico: il dio si manifesta in questo mondo grazie al
potere medianico d'oracoli umani. Secondo la tradizione, Pehàr fu, al
pari di altre divinità centro-asiatiche, soggiogato dai poteri
sovrannaturali del taumaturgo indiano Padmasàmbhava (vedi cat. n. 32),
che gli affidò la custodia del tesoro di Sàmye, il più antico
monastero buddhista del Tibet, fondato nella seconda metà dell'VIII
secolo. Qualche secolo più tardi Pehàr avrebbe lasciato Sàmye per
stabilirsi in un monastero a est di Lhasa. Entrò tuttavia in conflitto
con l'abate, il quale, mediante un rituale magico, riuscì a
rinchiuderlo in una cassa che fece gettare nel fiume Khyiciù. Giunta
all'altezza del monastero di Drepùn, la cassa fu recuperata e, alla sua
apertura, Pehàr ne fuggì assumendo la forma di una colomba bianca che
sparì in un albero vicino. Intorno a quell'albero fu costruito il
tempio di Neciùn e da allora Pehàr cominciò a manifestarsi prendendo
possesso di medium che divennero gli oracoli di stato dell'ordine
religioso Ghelukpa.
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