Storia dell'arte tibetana.

La pittura e la scultura tibetana si possono far risalire al VII secolo d.C. quando il Buddhismo, insieme alle sue arti, fu introdotto per la prima volta in Tibet proveniente dalle confinanti culture dell'India, Nepal, Cina, e Asia Centrale. Vi sono poche espressioni di arte tibetana prima del VII secolo e gli esemplari più antichi che ci sono pervenuti hanno talmente risentito dell'influenza con le tradizioni artistiche circostanti che è difficile discernere in essi elementi pre-buddhisti, sempre che una precedente tradizione indigena sia esistita. La pittura tibetana si è espressa attraverso tre canali principali: i manoscritti miniati, la pittura murale e i dipinti su stoffa (thang-ka); ciascuno di questi mezzi espressivi era inesorabilmente legato ai fini e alle pratiche del Buddhismo. La scultura era realizzata soprattutto in metallo e, in minor misura, in legno, stucco e pietra. In teoria le opere d'arte tibetana servivano principalmente come icona, intermediario tra l'uomo e la divinità, funzione questa rilevata dallo stesso termine indigeno usato per la loro arte, tongdol (mthong-grol), ‘liberazione (spirituale) per mezzo della visione (della divinità) ’. Si credeva che, al momento della cerimonia, una divinità dimorasse nell'opera d'arte per motivi di culto e per potersi trasmettere attraverso di lei. In pratica la pittura e la scultura soddisfacevano a tutta una serie di necessità spirituali, educative e sociali. Rappresentavano il centro visivo di un rito meditativo o di una cerimonia per ottenere una lunga vita, condotta per conto del proprio maestro o parente o amico. Le opere d'arte fornivano ai laici, persone spesso analfabete, descrizioni pittoriche della dottrina del Buddhismo. I ritratti servivano come testimonianze storiche e, in particolar modo prima del XV secolo, hanno incoraggiato un crescente spirito di setta immortalando alcuni prelati ricchi di carisma e il loro operato spirituale. Le immagini, quando rappresentate con sfarzo, riflettevano l'opulenza e lo stato sociale del loro mecenate il quale, commissionandone la realizzazione, acquisiva pubblicamente merito religioso. Alle immagini si supplicava per ottenere aiuto in battaglia, nel commercio, nelle questioni di cuore e le opere d'arte, insieme con le divinità che in loro risiedevano, condizionavano tutti gli aspetti della passione umana. I monasteri esercitavano una enorme influenza su quest'arte dato che proprio essi ne erano i mecenati più importanti. Un prelato, per conto del proprio monastero, specificava il soggetto che l'opera d'arte doveva rappresentare e si assicurava che il pittore seguisse le norme iconografiche, iconometriche e i precetti conformi al rituale. I dipinti tibetani, i thang-ka, stavano appesi nei monasteri, a volte a centinaia in una sola stanza, o nella zona di culto di una casa privata. Alcuni dipinti erano riservati a particolari cerimonie e di conseguenza esposti solo occasionalmente. Affreschi adornavano le pareti e i soffitti di templi e monasteri. Le miniature dei manoscritti a volte illustrano i temi di un testo religioso ma la loro iconografia spesso non ha legami con gli stessi, servendo semplicemente a dare più forza al manoscritto e concedere più merito religioso ai suoi mecenati. Nonostante debba ancora essere istituito un sistema di classificazione, universalmente riconosciuto, dell'arte tibetana, alcune tracce generali sono già chiare. Pittura e scultura possono essere considerate all'interno di quattro periodi storici. 1) 630-950 circa, che corrisponde al sorgere dello Stato tibetano con l'introduzione e la prima diffusione del Buddhismo. 2) 950-1400 circa, che corrisponde alla seconda diffusione della fede, all'integrazione, prevalentemente indiana, della letteratura e delle pratiche religiose buddhiste a tutti i livelli della società tibetana; allo sviluppo della vita monastica buddhista da parte dei tibetani caratterizzata, dopo il 1247 dall'egemonia dell'ordine Sakya (sa-skya). 3) 1400-1650 circa, che corrisponde al consolidamento delle scuole buddhiste tibetane, accompagnate dalla crescita prodigiosa delle comunità monastiche e delle loro arti, contrassegnata dall'ascesa dell'ordine Gelukpa (dge-lugs-pa) e del suo rivale l'ordine Kagyupa (bka’-brgyud-pa) nel Tibet centrale. 4) 1650-1950 circa che corrisponde all'emergere di un’affermata teocrazia e all'accentramento del Buddhismo tibetano e delle sue arti sotto il V e i seguenti Dalai Lama. Ognuno di questi periodi storici corrisponde ad una fase estetica ben definita.

 L'arte durante il primo periodo della diffusione della fede (630-950 circa)

L'introduzione dell'arte buddhista in Tibet coincise con la sua ascesa a potenza militare all'inizio del VII secolo d.C. Il Tibet, in passato una confederazione di tribù nomadi e agricole, illetterate e organizzate in modo confuso, iniziò una campagna di imperialismo aggressivo sotto Songtsen Gampo (Svong-btsan sgam-po), il primo monarca del periodo storico. Affascinato dal Buddhismo, come del resto da tutte le culture straniere con cui egli veniva in contatto, questo straordinario sovrano inviò ministri in India, Nepal, Cina e Asia Centrale. Lhasa portale scolpito all'interno del Jokhang Motivato sia da altruismo sia da acume politico, Songtsen Gampo e i suoi successori importarono la ‘civiltà’ buddhista dall'estero, un eccezionale sforzo questo, descritto nella letteratura tibetana come Ngadar (snga-dar) 'il primo periodo della diffusione' della fede buddhista. Il tempio più sacro del Tibet, il Jokhang di Lhasa, fu costruito nella metà del VII secolo e ospitava un'immagine di Buddha Sakyamuni che si diceva essere stata portata in Tibet dalla moglie cinese di Songtsen Gampo, la principessa Wencheng (conosciuta in Tibet come Munsheng Kongjo). Il Jokhang era probabilmente adornato con pitture del VII secolo ma i frammenti degli affreschi che si sono salvati sono quasi certamente di un periodo più tardo. Tuttavia bassorilievi lignei di questo periodo si possono ancora vedere un po' dappertutto nel santuario, specialmente sulle cornici delle porte che conducono alle sale interne del Jokhang. Queste sculture lignee assomigliano, nello stile, a quelle nepalesi del periodo Licchavi (300-897). I primi monarchi tibetani sostennero vigorosamente il Buddhismo e le sue arti. Mentre i sostenitori del Bon, la tradizione religiosa locale pre-buddhista, combatterono il Buddhismo in quanto scorgevano in esso una minaccia al loro potere sociale e politico. Nel IX secolo il re buddhista Ralpachen fu assassinato da suo fratello, Langdarma, un seguace di Bon, che ne usurpò poi il trono. Intorno al 846 Langdarma fu egli stesso assassinato e la monarchia si frantumò. L'impulso che il Buddhismo possedeva svanì e, con esso, le arti nascenti del Tibet. Ne derivarono instabilità politica e persecuzioni; il secolo seguente segnò un periodo nero nella storia del Buddhismo tibetano.

 L'arte durante la seconda diffusione della fede (950-1400 circa)

Il Buddhismo e le sue arti destarono un rinnovato interesse durante la seconda metà del X secolo, l'inizio di un periodo descritto nella letteratura tibetana come Chidar (phyi-dar) ‘la seconda diffusione’ della fede. Con l'assenza di un’autorità centralizzata di governo il potere toccava ai signori locali i quali controllavano sia il paese sia le sue risorse. I promotori del Buddhismo cercavano l'aiuto di questi aristocratici locali per erigere le istituzioni buddhiste. I tibetani cercarono di studiare in India - culla del Buddhismo - e molti tibetani studiavano insieme ai loro compagni indiani nelle famose università di monaci dell'India orientale, incluso Nalanda, Vikramasila e Oddantapuri. Il Buddhismo s’infiltrò in tutte le strutture della cultura tibetana così che, giunti al XV secolo, il Tibet era diventato completamente e irrimediabilmente buddhista. Migliaia di testi buddhisti in sanscrito furono tradotti in tibetano, centinaia di monumenti buddhisti adornavano il vasto territorio tibetano, e innumerevoli giovani, sia uomini che donne, entrarono a far parte degli ordini monastici che stavano fiorendo.

In questo periodo sono evidenti due principali tendenze nello stile, tendenze queste che possiamo tracciare approssimativamente lungo i contorni geografici: una del Tibet centrale e l'altra del Tibet occidentale. L'arte del Tibet centrale (che include anche il distretto di U (dbus) e Tsang (tsang) riflette forti legami con l'India orientale; l'arte del Tibet occidentale, che include il distretto di Guge (gu-ge) Purang (spu-hrang), e Maryul (mar-yul) così come parti dell'attuale Ladakh (la-dvags) e Spiti (spi-ti), fu influenzata dalla vicinanza geografica del Kashmir. Queste osservazioni scaturiscono da una valutazione degli affreschi superstiti del Tibet, l’unica fonte veramente attendibile per l'attribuzione della provenienza delle opere artistiche. Si conosce poco riguardo l’arte del Tibet orientale incluso il Kham (khams) e l'Amdo (amdo), se non per il nome di qualche buddhista locale e di qualche monastero fondato durante questo periodo. Molti thang-ka, sculture e manoscritti miniati databili al periodo tra il 1000 e il 1400 sono recentemente venuti alla luce. La loro iconografia include temi tradizionali buddhisti come la rappresentazione del Buddha storico, i cinque Tathagata (Buddha celesti) i bodhisattva, e altre divinità come Vajravarahi (Dorje Phagmo, rdo-rje phag-mo, ‘la Scrofa Adamantina’) e Vajrasattva (Dorje Sempa, rdo-rje sems-dpa, ‘Essere Adamantino’). 

Un numero rilevante ritrae Lama d’alto lignaggio, un genere che sembra essere stato particolarmente diffuso durante il XII e il XIII secolo. (vedi fig. qui sotto)

Pagina miniata di libro del XIII secolo

Thang-ka del XIII secolo si sono salvati in maggior abbondanza, forse a seguito della crescente richiesta di immagini religiose da parte dei monasteri che sorgevano in quel periodo. I centri buddhisti indiani distrutti verso la metà del secolo dalle invasioni del nord dell’India da parte dei musulmani, non fornivano più ispirazione artistica e guida dottrinale per gli artisti tibetani. Mentre questi continuavano a servirsi dei prototipi dell'India orientale, lo stile divenne inevitabilmente più formale intorno alla fine del XIV secolo. Allorché il rapporto con l'India inizia ad attenuarsi, dalla metà del XIII secolo in avanti, viene invece ad aumentare il contatto con la Cina. I governanti Yuan (1279-1368) inclusero il Tibet nel loro vasto impero dell’Eurasia, seppure ai tibetani andò meglio che alla maggior parte dei sudditi mongoli in quanto ad essi era lasciata relativa autonomia in cambio di cooperazione politica e di generosi tributi. L’indulgenza dei sovrani Yuan verso il Tibet derivava dalla loro predilezione per il Buddhismo tibetano. L'ordine religioso Sakya giocò un ruolo decisivo nella conversione di questi sovrani al Buddhismo tibetano. Nel 1247, Kunga Gyaltsen (kun-dga’ rgyalmtshan, 1182-1251, anche conosciuto come Sakya Pandita) visitò la Mongolia ove convertì Godan Khan al Buddhismo. Suo nipote Phakpa (‘phags-pa, 1235-1280) nel 1253 divenne il veneratissimo tutore religioso personale di Kubilai Khan ed esercitò un considerevole potere sia alla corte Yuan che all'interno dello stesso Tibet. Motivi di paesaggistica cinese caratterizzano un piccolo ma significativo gruppo di pitture tibetane del XIV secolo circa, molte delle quali rappresentanti degli arhat.

Thang-ka del XIV secolo, ora al Los Angeles Cuonty Museum of Art, raffigurante un arhat Uno dei più begli esempi di questo genere si trova ora al Los Angeles County Museum of Art. (foto a fianco) Il genere pittorico degli arhat si serve generalmente di composizioni più raffinate e quindi meno sacerdotali dei ritratti dei Lama di secoli precedenti. Nell'arhat del Los Angeles County Museum of Art si nota una simmetria assiale nei confronti della figura principale mentre le figure secondarie, alcune delle quali rappresentate all'interno della loro individuale ambientazione paesaggistica, mostrano una piacevole asimmetria. Il British Museum è in possesso di dodici dipinti, appartenenti ad una serie originaria di sedici, rappresentanti arhat, rinvenuti tra le rovine del monastero di Shigatse (gzhis-ka-rtse) nel Tibet del centro-sud. Questa serie presenta delle figure ben inserite all'interno del paesaggio e ciò ricorda spesso scenari Yuan o inizio Ming. Questi elementi di paesaggio, insieme con l’uso, proprio di questo stile, di vesti in seta sontuose e naturalistiche vennero sempre più a far parte del repertorio artistico tibetano e trovarono un più vasto impiego nei secoli seguenti.

Il rinascimento buddhista nel Tibet occidentale deve moltissimo all'impegno di Yeshe O (ye-shes-‘od, metà del X secolo), un monarca locale divenuto monaco, e al carismatico traduttore Rinchen Sangpo (rin-chen bzang-po, 958-1055). La fondazione di molti templi, incluso Tholing (mtho-gling), Mangnang (mang-nang), Tabo (ta-pho), e Alchi (al-chi) è attribuita a Rinchen Sangpo e ai suoi successori. Nonostante vi siano stati ampliamenti successivi, parte dei loro affreschi e delle loro sculture sono databili al periodo della loro fondazione, tra il 1000 e il 1200 circa. Tutti questi luoghi riflettono forti legami con l'arte del Kashmir; infatti, nella biografia di Rinchen Sangpo si afferma che egli impiegò artisti kashmiri. Il monastero di Tabo è situato lungo il fiume Spiti, attualmente all'interno della regione di Spiti, nel distretto indiano di Himachal Pradesh. La sua sala delle riunioni (‘du-khang) conserva ancora affreschi ripristinati intorno al 1042 da Changchub O, pronipote di Yeshe O. Così come a Tholing sono stati probabilmente artisti kashmiri a creare le sculture e gli affreschi di questo monastero, forse lavorando anche insieme ad artisti locali. Un bodhisattva pubblicato di recente con la sua doppia aureola, la corona dalle lunghe punte, l'addome bombato, i muscoli pettorali molto in rilievo, il viso tondo, occhi a mandorla allungati e labbra a bocciolo di rosa, trova riscontro nelle sculture del Kashmir in metallo dello stesso periodo. Della dozzina di siti medioevali che sono rimasti nel Tibet occidentale, il complesso religioso di Alchi è quello meglio preservatosi. Fondato intorno al 1200 da Kalden Sherab (skal-ldan shes-rab), un aristocratico del luogo e dal monaco Tshultrim O (tshul-khrims-‘od), Alchi si trova lungo il fiume Indus approssimativamente 40 miglia ad ovest di Leh. Quattro dei suoi dieci edifici contengono affreschi antichi: la Sala delle Riunioni (‘du-khang), il Tempio a tre piani, (gsum-tsek lha-khang), il Nuovo Tempio (lha-khang so-ma), e il più ampio o Grande Chorten (chos-rten). La Sala delle Assemblee, molto probabilmente la prima delle sei strutture del complesso, presenta un'iconografia che ha affinità con quella del màndala di Sarvavid-Vairocana, la cui iconografia molto ricercata è descritta nel Tattvasamgraha, un testo sanscrito tradotto in tibetano al tempo di Rinchen Sangpo. Come è caratteristico di questo periodo, le pitture murali sono divise in tante unità più piccole, a volte anche accoppiate in modo singolare, e ciascuna di esse contiene un sottile messaggio iconografico. Quest’uso, più tardi sostituito da uno stile narrativo di rappresentazione più complesso, deriva probabilmente dall'introduzione in Tibet, provenienti in questo caso dal Kashmir, di piccole opere d’arte trasportabili (per esempio manoscritti miniati e pitture su tela rettangolare) attraverso le quali stile ed iconografia furono introdotti nel paese. Sia nella Sala delle Assemblee che nell'adiacente Tempio a tre piani, oltre una splendida esposizione di màndala appartenenti al ciclo Sarvavid-Vairocana, si possono trovare molti dettagli di vita religiosa contemporanea, incluse scene di pellegrinaggio e ritratti di monaci, donatori e aristocratici dell'epoca. Una scena di un banchetto vicino all'entrata della Sala delle Assemblee ritrae un re e una regina con gli attendenti che portano coppe dal lungo stelo. Particolare di pittura murale del XIII secolo ad Alchi Il raffinato mantello del re decorato con medaglioni raffiguranti leoni ricorda motivi di tessuti del Centro Asia di epoca precedente e costituisce una delle testimonianze delle eclettiche influenze che si possono vedere ad Alchi.  Gli affreschi di Alchi accostano una complessa teologia ad una gioia della vita terrena; le sue forme gaie e voluttuose uniscono a una bellezza senza tempo modelli di costume contemporaneo, resi con straordinaria minuzia, gioielli e altri ornamenti. Qui un'astrusa teologia è resa in modo palpabile, come possiamo vedere in una meravigliosa scena che rappresenta una Tara seduta sul trono nel Tempio a tre piani. (foto a fianco) Come devono essere sembrati impressionanti i dipinti di Alchi all'inizio dell'epoca medievale tibetana, dove l'arido paesaggio contrasta nettamente con i mondi pieni di colore, vivacissimi e trascendentali che il Buddhismo prometteva ai suoi seguaci.

 Il consolidamento degli ordini religiosi buddhisti (1400-1650 circa)

Con illustri teologi come Tsong Khapa (tsong-kha-pa, 1357-1419) il Buddhismo tibetano subì importanti riforme tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo. Fondatore dell'ordine Gelukpa (dge-lugs-pa, ‘i seguaci della tradizione virtuosa’), Tsong Khapa trasse vantaggio dai risultati ottenuti da tutti e quattro gli ordini religiosi suoi contemporanei: Sakya, Nyingma, Kadam, e Kagyu. Egli insistette sulla stretta osservanza delle antiche regole riguardo la condotta monastica (vinaya), e distanziò il Buddhismo tibetano dalle precedenti e alquanto informali divisioni, basate sulle interpretazioni dottrinali di individui carismatici, in favore di una divisione di setta più definita, basata su distinzioni teologiche solide e sostenute da testi autorevoli. Il rapporto del Tibet con la Cina Ming (1368-1647) non era così stretto com’era stato con i sovrani Yuan, ma i prelati Sakyapa avevano in ogni caso ancora potere alle corti Ming così come n’avevano anche i rappresentanti degli ordini Karmapa (un sotto ordine del Kagyupa), e Gelukpa.

Un potente senso di nazionalismo pervase il Tibet accompagnato dalla fondazione di numerosi grandi monasteri, per esempio Ganden (1410), Drepung (1416), e Sera (1419), quest'ultimo arrivò ad ospitare fino a 10.000 monaci.

Gyantse, il grande stupa del XV secolo.

Gyantse: particolare di pittura murale nel kumbum 

Nel XV secolo la pittura e la scultura del Tibet centrale entrarono in una fase estetica nuova che era stata preannunciata dal Kumbum di Gyantse (sku-‘bum, letteralmente: centomila immagini) e da altri monumenti nel distretto di U e di Tsang. (vedi immagini sopra) Un monumento imponente che unisce elementi del tempio e del chorten (stupa), il Kumbum di Gyantse, fu ideato da un signore locale (chos-rgyal), Rabten Kunsang Phakpa (rab-brtan-kun-bzang-‘phags-pa, 1389-1442), costruito con il sostegno di tutta la comunità di Gyantse e completato quasi interamente nel 1439. Alcune delle numerose iscrizioni in sito, nominano artisti, architetti, donatori. All'interno delle settantatre cappelle del tempio vi sono affreschi e sculture d’incredibile bellezza. Gli artisti di Gyantse hanno mostrato gran virtuosismo e maestria adattando la loro abilità interamente alla fisionomia tibetana, alle esigenze dell'iconografia così come al gusto estetico. Le proporzioni delle figure sono più affusolate che nei secoli precedenti; le composizioni sono più libere e spontanee e non sono più legate ai prototipi dell'India orientale. Le figure hanno spesso un evidente volume e sono tridimensionali. Tecniche come quella dell’ombreggiatura, anche se già presenti nei secoli precedenti, qui sono impiegate con consumata abilità. I drappeggi sono ricchi, molto decorativi e sistemati in modo fluente. Nel Tibet centrale importanti monumenti sono stati creati dai seguaci dell'ordine Sakyapa. Tra questi il più importante era quello di Ngor fondato nel 1429 dall'illustre Kunga Sangpo (kun-dga bzang-po, 1382-1444). Situato a circa 100 miglia a sud-ovest di Lhasa lungo la strada che collega Lhasa a Kathmandu, Ngor fu distrutto durante la rivoluzione culturale cinese del XX secolo, ma alcuni thang-ka databili tra il XIV e l'inizio del XVII secolo che provengono da questo come da altri luoghi Sakya, sono pervenuti sino a noi. Questo gruppo di dipinti è caratterizzato da un tratto eccezionalmente raffinato, da dettagli ricercati e da una gamma di colori particolarmente vibrante che predilige il rosso intenso, l’oro, l’arancione, il blu lapislazzulo e il verde smeraldo. Particolare di màndala della scuola di Ngor del XV secoloIn questo gruppo è compresa una serie di màndala tra i più complessi e sofisticati mai creati, come pure meravigliosi ritratti di prelati di questo ordine religioso. (vedi fig. a fianco) L’ordine Sakyapa aveva una particolare predilezione per i pittori nepalesi che venivano a volte impiegati per adornare templi nel Tibet centrale. Un album di schizzi di uno di questi artisti nepalesi ci é pervenuto e si trova ora nella collezione Neotia, a Calcutta, è datato 1435 e l'iscrizione lo attribuisce ad un artista nepalese di nome Jivarama che aveva viaggiato in Tibet. Questi schizzi che comprendono sia disegni di divinità, di monaci e di arhat, che elaborati dettagli decorativi, sono molto simili alla pittura dell'inizio XV secolo del Tibet centrale. Quest’album contiene anche disegni in stile nepalese, tibetano, e cinese lasciando comprendere che l'artista era in grado di riprodurre pitture in tutte tre le tradizioni stilistiche. I motivi paesaggistici, una volta introdotti, non sono rimasti ristretti al soggetto degli arhat. Al posto di scenari eterei, astratti dove ambientare le divinità come si usava in epoche precedenti, molti artisti di questo periodo collocavano le divinità e le figure storiche davanti a montagne, con alberi scarni e fiumi, richiamando alla memoria elementi di paesaggio sviluppati nei dipinti Sung, Yuan e Ming. E’ interessante notare come, tranne rare eccezioni, i tibetani non usassero il loro paesaggio, con le sue magnifiche montagne, i laghi e i corsi d'acqua nelle rappresentazioni ma preferissero lo stereotipo cinese. I motivi paesaggistici si diffusero gradualmente; di questo abbiamo un chiaro esempio confrontando un dipinto di Sakyamuni della metà circa del XV secolo (ora al British Museum) in cui elementi di paesaggio sono usati in modo molto limitato, con un altro dipinto del tardo XVI secolo rappresentante un Lama Kagyu (che si trova ora nella collezione della famiglia Zimmerman) dove la composizione é in pratica incorporata nel paesaggio. Dipinti del tardo XVI e inizio XVII secolo che rappresentano racconti ‘jataka’ (che sono episodi delle precedenti vite del Buddha) spesso usano le ambientazioni paesaggistiche per avere più libertà narrativa.

Sotto l’abile comando del V Dalai Lama, Ngawang Lobsang Gyatso (ngag-dbang blo-bzang rgya-mtsho, 1617-1682) venne realizzato il potenziamento teocratico del Tibet. Per la prima volta dalla fine della dinastia Yarlung, il Tibet fu unificato sotto l'autorità religiosa e laica di un singolo sovrano tibetano. Ngawang Lobsang Gyatso, un abile amministratore molto ammirato dalla sua gente, fu anche un appassionato mecenate delle arti. Nel 1645 egli iniziò i progetti per costruire, a Lhasa, il Potala, residenza maestosa dei futuri Dalai Lama e sede del governo nazionale. La setta dei Gelukpa conquistò la supremazia, ma tutti gli ordini religiosi ebbero in ogni modo una gran fioritura.

Un importante stile di pittura si sviluppò in Tibet nel XVII secolo, seppure le sue radici siano chiaramente da ricercarsi nella tradizione dei secoli precedenti. Caratterizzate da un limitato uso del colore (alcune addirittura monocromatiche) le immagini erano tipicamente delineate in oro su uno sfondo nero o rosso, con tutti gli elementi secondari ridotti al minimo. Particolare di pittura in oro su fondo nero Un dipinto del XVII secolo, che si trova ora in una collezione privata, e che rappresenta un aspetto esoterico di Kubera, costituisce un bell'esempio di questo stile. (vedi fig. a fianco) Circondato da un'aureola di fiamme, la divinità appare su uno sfondo scuro. La pelle e il mantello di piume di pavone sono ravvivati da tenui sfumature di blu intenso; le fiamme sono segnate sulla punta da tocchi d’arancione, così come le pieghe delle ricche vesti. Pitture come questa enfatizzano la natura effimera, incorporea di tali immagini, in armonia con le loro origini ‘viste’ durante stati meditativi. L'iconografia di questi lavori rappresenta prevalentemente divinità guardiane o divinità nelle loro forme feroci, il che ha portato Tucci a destinare il loro ruolo alle cappelle tantriche del Gonkhang.

Una vasta raccolta di queste pitture, che costituisce parte della donazione Fournier al Museo Guimet a Parigi, illustra lo sviluppo e la diversità di questo genere di pitture con sfondi neri e blu intensi, tra il XVI e il XIX secolo. Un importante manoscritto del XVII secolo che descrive le visioni mistiche del V Dalai Lama si serve pure di questa tecnica di contorni in oro e scarso colore su uno sfondo nero. Le pitture monocromatiche a volte si rivolgevano ad argomenti con altri soggetti come per un thang-ka del tardo XVII, o inizio XVIII secolo che rappresenta un monaco Nyingma, e che usa in modo efficace contorni d'oro su un fondo rosso.

Altri dipinti di questo periodo danno maggior rilievo agli sfondi architettonici e ad elaborate scene paesaggistiche, come in un dipinto del tardo XVII secolo, che si trova al Los Angeles County Museum of Art, che ritrae Kunga Tashi della setta Sakya. Qui si trovano divinità celesti avvolte nelle fiamme collocate in mezzo a scene di vita monastica. In un dipinto del XVIII secolo, che si trova attualmente nella collezione della famiglia Zimmermann, e che rappresenta Gampopa, maestro della dottrina Kagyu, sono impiegate formazioni rocciose in blu e verde elettrico viste già in epoche precedenti, anche se ora radicalmente trasformate.

Altri dipinti del XVIII secolo assumono una veste nuova più evocativa, con le divinità situate all'interno di vasti paesaggi. I dipinti Jataka di questo periodo usano generalmente composizioni paesaggistiche ad ampio respiro per illustrare le vite passate del Buddha storico. Questi lavori sono in netto contrasto con i modelli precedenti dove i racconti della vita di Sakyamuni erano presentati in spazi e ambientazioni atemporali. In modo particolare nel XVIII e XIX secolo erano usati gli stencil e questo è evidente nella crescente uniformità dell'iconografia, della composizione e del tratto di alcuni dipinti. Questi stencil permettevano agli artisti di soddisfare la crescente richiesta di pitture, richiesta questa determinata dalla stabilità portata dal regime teocratico del Dalai Lama e dal conseguente rifiorire dei suoi monasteri. I colori sintetici fecero la loro comparsa in Tibet probabilmente fin dalla metà del XIX secolo; questo cambiò la tavolozza sia per i thang-ka che per i suoi bordi di seta. Non tutti i dipinti si concentravano sui mondi ultraterreni, una pittura dell'inizio XIX secolo, ora al Museo Reale Ontario di Toronto, rappresenta i templi e i monasteri di Lhasa. L'uso che qui si fa di una prospettiva aerea improbabile non diminuisce l'impatto che le sue tecniche di realismo trasmettono ed esemplifica la tendenza della pittura del XVIII e XIX secolo che è improntata verso un più grande realismo.

Ganden: resti di un’importante università monastica distrutta durante la rivoluzione culturale cineseDurante il regno del XIII Dalai Lama (1876-1933) il Tibet subì le minacce di una Cina sempre più bellicosa. Nel 1949 le truppe cinesi invasero il Tibet orientale e, nel l959, ottennero il controllo della capitale costringendo il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso (bstan-‘dzin rgya-mtsho, 1935) a fuggire. La pittura tibetana ha sofferto durante l'occupazione cinese; si considera, infatti, che circa il 95% delle istituzioni religiose tibetane con le loro opere d'arte siano state distrutte. Gli artisti continuano a lavorare in esilio producendo anche delle opere d’alto valore estetico. In Tibet si è iniziato il restauro dei pochi monasteri rimasti e, mentre il livello estetico non è elevato, l'iconografia tradizionale, così come le regole iconometriche che costituiscono il fondamento della pittura tibetana, sembra vengano tuttora scrupolosamente osservate.

Jane Casey Singer

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La pagina è stata aggiornata nel maggio 2001

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